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Siamo nell’aprile del 2014 e il documentario “L’arrivo di un Treno” ha appena presentato le sue prime visioni. Il collegamento che porta all’idea di un nuovo documentario viene da lontano… precisamente in Svizzera !

Tramite il nostro amico Luigi Fasciglione del Museo della ex Ferrovia Spoleto Norcia, scopriamo delle interessanti analogie tra il trenino “azzurro”, così veniva chiamato il locomotore della vecchia ferrovia e il nuovo Trenino Rosso del Bermina.

Gallerie elicoidali, ferrovia a scartamento ridotto e altre tipicità che accomunano i due trenini ci hanno aperto un collegamento importante verso Tirano, il capolinea del Bernina Express. Il collegamento principale riguarda un ingegnere del 1879: Erwin Thomann.

È uscito in questi giorni il documentario L’arrivo di un Treno – Sulle tracce della Spoleto Norcia, prodotto da Philms e distribuito da Umbria Nascosta, che ripercorre le tappe della dismessa ferrovia Spoleto – Norcia, il cui soprannome di “piccolo Gottardo” ben si addiceva ad un confronto con la linea del Bernina Express. Simile l’ardimento con il quale gli ingegneri di un secolo fa progettarono ponti, viadotti e contrafforti sulle pendici delle montagne, simile lo spirito che le animava. Differente, purtroppo, il destino. Viva e produttiva la linea svizzera, ridotta al più ad un sentiero terroso quella che valicava le creste appenniniche. Sul perché due punti di partenza tanto simili abbiano prodotto esiti tanto diversi si potrebbero riempire d’inchiostro pagine e pagine, ma non è questa la sede.

Piuttosto, analizziamo brevemente ciò che era la Spoleto – Norcia: progettata ed eseguita dall’ingegner Erwin Thomann (guarda caso uno svizzero che s’ispirò proprio alle linee alpine!), la ferrovia si staccava dalla stazione di Spoleto F.S. e, dopo 52 chilometri di incredibili tornanti a picco su burroni dirupati, gallerie elicoidali e viadotti mozzafiato, percorreva l’intera valle del fiume Nera e raggiungeva l’altopiano nursino, dove terminava. Inaugurata nel 1926 con fastose celebrazioni di regime, nasceva già monca dato che il suo naturale progetto di completamento verso l’Adriatico abortì immediatamente a causa degli elevati costi di realizzazione. Interamente elettrificata e a scartamento ridotto (950 mm), raggiungeva pendenze del 6‰ e attraversava il valico più importante con una (per l’epoca) sontuosa galleria di due chilometri ancora perfettamente percorribile a piedi o in bicicletta. Tuttavia il suo tratto distintivo più caratteristico erano senza dubbio i numerosi elicoidali che, soprattutto nel tratto tra Spoleto e Sant’Anatolia di Narco, permettevano ai binari di sopperire alle forti pendenze del terreno. Quello della Caprareccia era un elicoidale molto simile a quello di Brusio, ma durante il tragitto se ne incontravano diversi altri, alcuni dei quali scavati completamente nella montagna, che le elettromotrici celesti della Società Subalpina (così si chiamava l’ente che aveva in concessione l’esercizio) percorrevano arrancando su ogni rampa.

Cosa c’entra tutto questo con la linea che va da Tirano a Saint Moritz? Beh, vedere le carrozze panoramiche che tuttora percorrono la Bernina Express non può che suscitare un moto di rabbia in chi conosce la Spoleto – Norcia: a quasi mezzo secolo dalla sua chiusura infatti (il decreto fu firmato dall’allora ministro dei trasporti Scalfaro nel 1968), il Trenino Celeste della Valnerina potrebbe essere oggi una preziosa fonte per il turismo della regione. Ovviamente, al pari del suo simile svizzero, non servirebbe agli spostamenti degli abitanti della zona, per i quali l’uso dell’autovettura sarebbe di gran lunga più conveniente, ma piuttosto per i turisti. Si può benissimo condurre una persona da Spoleto a Norcia in due ore invece che in quarantacinque minuti, purché lo si faccia a condizione di fargli vivere un’avventura immersa nel paesaggio incontaminato e nella natura. La stessa filosofia che anima la Bernina Express, dopotutto.

Invece, data la consolidata carenza di lungimiranza che affligge il nostro Paese, si è inopinatamente permesso che un simile gioiello venisse lasciato morire. In quanto “ramo secco”, andava tagliato, secondo la logica prevalente negli anni ’50 e ’60 dello scorso secolo. Una politica miope e scellerata che puntava a favorire l’utilizzo del mezzo su gomma senza nessun’altra considerazione al di fuori di quella meramente economica e che, in Italia, produsse danni ingenti al patrimonio ferroviario. E a nulla servono oggi gli strali delle associazioni che ne chiedono il ripristino. Inutile nasconderlo, sarebbe troppo costoso da affrontare per qualunque pubblica amministrazione, senza contare che in alcuni tratti il tracciato è ormai compromesso, inglobato dalla strada statale o rosicchiato dalle piene dei fiumi. Servirebbe forse l’investimento di una multinazionale, ma parlarne in questa sede ci porterebbe fuori tema. Limitiamoci invece a constatare che, almeno nell’ultimo decennio, qualche spiraglio si è aperto e un progetto di rilancio è stato realizzato. Oggi la cosiddetta “Mobilità Dolce” è una realtà. In pratica, l’intera linea (salvo pochi tratti) è stata messa in sicurezza e aperta al pubblico per passeggiate a cavallo, a piedi o in bicicletta. Non sarà certo come lo sferragliare del treno sui binari, ma è comunque qualcosa. Un assaggio di ciò che i fortunati del tempo dovettero provare nel percorrere quei panorami verdeggianti.

Le differenze e le somiglianze con l’altrettanto splendida linea alpina finiscono qui, e non sono poche. Forse si potrebbe fare un confronto più generico tra le due realtà territoriali, ma tant’è, non affliggiamoci oltre.

Matteo Bruno